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Lezioni di jazz all 'Auditorim: la rivoluzione di Louis Armstrong

Lezioni di jazz all 'Auditorim: la rivoluzione di Louis Armstrong
Autore: Nostro inviato Luca Nasetti
Data: 16/12/2013

 

Succede per l’arte in generale, figuriamoci con quella d’eccellenza, la musica: il problema dei classici resta (quasi) sempre senza soluzione di continuità. Tanto più quanto rimaniamo lontani dal collocare questo o quel personaggio all’interno del loro tempo storico.

Lo stesso statunitense Bill Viola (artista apprezzato della video arte) afferma che “i vecchi maestri erano i radicali del loro tempo”. E il problema sta proprio qui: quando li mettiamo su un piedistallo li priviamo del loro contenuto e contributo storico e rivoluzionario. Un errore che Stefano Zenni (Presidente della Società Italiana di Musicologia Afroamericana – SidMA) non commette durante la sua quarta lezione di jazz incentrata sul genio di Louis Armstrong, Satchmo per gli amici, ieri (domenica 15 dicembre 2013, ndr) al Teatro Studio dell’Auditorium.

«Così non si coglie la forza originaria e il modo in cui ancora oggi [i cosiddetti classici, ndr] possono influenzare il presente», afferma Zenni. E per dimostrare questa teoria, il musicologo torna indietro addirittura di un secolo e oltre, andando a scomodare proprio colui che da un punto di vista musicale non solo ha rivoluzionato il modo di fare jazz, ma ha anche dettato i cambiamenti futuri di quasi tutti i generi, dal blues al rock al pop: Louis Armstrong.

«Il jazz nasce come musica collettiva – dice Zenni – e Armstrong dopo i primi dischi così suonati, cambia registro e si accorge che la sua cornetta può fare qualcosa di più che accompagnare l’orchestra. Lui rispetto agli altri suonava più veloce e più forte, tanto che in ogni pezzo prevaleva su tutti gli altri strumenti». In poche parole Armstrong ha inventato il concetto di assolo.

Se ci caliamo nella New Orleans del tempo (siamo negli anni ’20) possiamo immaginare quanto Armstrong possa essere stato un rivoluzionario: vedere un nero, di estrazione povera, che sapeva scrivere, oltretutto musicista, che suonava la cornetta (strumento di accompagnamento) come fosse un clarinetto meglio di chiunque altro abbia fatto fino ad allora, ha sicuramente cambiato di netto ogni metodo studiato, soprattutto dai trombettisti. Proprio il metodo è stata l’arma in più di Louis: «Suonare più forte e più veloce non bastava, Armstrong sapeva che c’era bisogno di armonia – continua Zenni –.

L’assolo quindi veniva studiato con accuratezza in modo tale che fosse coerente con tutto il resto della canzone. A questo Armstrong univa una sopraffina improvvisazione che gli apparteneva naturalmente». I risultati li conosciamo tutti, da pezzi come Potato Head Blues o West End Blues, ma anche Cornet Chop Suey, e soprattutto Struttin’ with Some Barbecue. Ciò non toglie che anche Satchmo avesse influenze molto significative: «Era un grande appassionato di lirica, e tra i soprano a cui ha “rubato” alcuni segreti c’è Amelita Galli-Curci, le cui arie – spiega Zenni – sono state prese pari pari da Armstrong, oltretutto con la stessa identica tonalità, e inserite come passaggi fondamentali durante i suoi soli». Un genio. Il contributo di Armstrong, però, non si ferma solo alla musica e alla tecnica della tromba: nei pezzi sopracitati, Zenni fa notare quanto le ritmiche intraprese da Armstrong siano alla base di quelle più moderne del blues e del rock. Ma non basta: «Armstrong ha di fatto inventato il canto pop del ‘900.

Se prima la voce doveva essere canonicamente impostata, dopo Louis ogni cantante si è esibito libero da certi schemi e regole, lasciando il proprio timbro come marchio indelebile nella canzone, rendendola originale e appunto propria. In più, e questa era una novità quasi assoluta, lui stravolgeva i testi cantando in scat, ironizzando sul testo stesso e attirando lo spettatore non solo sulla musica, ma anche su tutto l’intero spettacolo», conclude Zenni. Insomma, se la forza e il genio di certi personaggi che noi chiamiamo classici, non rimangano solo dei grandi su un piedistallo, dobbiamo per forza di cose calarci nel loro tempo e capire il contesto storico. Louis Armstrong ha distrutto, nel senso più letterale del tempo, le barriere del jazz collettivo e del canto impostato, ha gettato le basi ritmiche di quelli che un giorno saranno i più famosi generi della musica (pop, rock, blues e jazz moderno), ha rivoluzionato anche il modo di stare sul palco durante i concerti enfatizzando il ruolo del “one man show”, il tutto nonostante abbia avuto anche la pelle nera.

 




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